Una partita senza arbitro

É sicuramente la figura più criticata nel calcio, ma ti sei mai chiesto come sarebbe una partita di campionato senza l’arbitro ed i suoi assistenti, senza qualcuno che fischi un’irregolarità o che controlli che un calcio di punizione venga tirato dalla giusta posizione, per non parlare del fuorigioco che sarebbe un concetto da dimenticare? Credo che sarebbe praticamente impossibile stabilire l’esito di una partita di questo tipo.

Prova a fare un ulteriore sforzo d’immaginazione, pensa al Trasporto Pubblico in Italia, senza la figura del controllore o senza un sistema che controlli che tutto avvenga secondo il regolamento.

Mi capita spesso di parlare con degli utenti che, sprovvisti di regolare biglietto, si giustificano dicendo che gli autobus sono spesso in ritardo, sporchi o troppo affollati ed altre critiche che possono essere fondate in certi casi isolati, ma non giustificano il viaggiare senza biglietto. Se poi aggiungiamo che la maggior parte degli utenti che avanzano questo tipo di critiche lo fanno comodamente seduti dentro un autobus in perfetto orario ed in perfette condizioni di pulizia e funzionamento, viene difficile a noi controllori dargli credibilità. Con questo non escludo le eccezioni, che però, come sappiamo, confermano la regola.

Tornando al paragone calcistico, sarebbe come voler entrare allo stadio senza biglietto perché una volta si è trovato il seggiolino sporco o perché una partita è iniziata in ritardo. Oppure, immaginiamo di dover arbitrare un incontro di campionato, l’unico modo di condurre la partita in modo corretto è quello di applicare il regolamento, senza dare spazio ad interpretazioni, perché, se si chiude un occhio per un episodio, bisogna chiuderlo per tutti gli altri, ma così si rischia di entrare in un circolo vizioso dove l’arbitro perde la sua autorevolezza e credibilità.

La stessa cosa accade nel mio mestiere, se dovessi far salire su un autobus una persona senza un regolare titolo di viaggio, gli altri utenti mi contesterebbero giustamente, reclamando lo stesso trattamento. Succederebbe inoltre, qualcosa di ancora più grave del perdere la mia autorevolezza, bensì sminuirei il lavoro di tutti i miei colleghi che con fatica ed impegno, come un buon arbitro, cercano di far rispettare il regolamento, senza nessuna discriminazione od eccezione.

Se sugli autobus non ci fosse il controllore che applica il regolamento di trasporto, sia gli utenti che le aziende del trasporto pubblico giocherebbero una partita già persa per entrambe.

Il capodanno del controllore

Dicembre è quasi alla fine e io mi sono resa conto che, da un po’ di tempo, non vi do più notizie del mio lavoro come verificatore Holacheck e della mia vita lavorativa. Giorni fa stavo viaggiando su uno degli autobus su cui, puntualmente, controllo i biglietti e abbonamenti, quando mi sono ritrovata a guardare, per un attimo, fuori dal finestrino. Capita anche a noi di ritrovarci con lo sguardo perso verso l’orizzonte, proprio come molti di voi durante i vari spostamenti per piacere o per lavoro. Mi sono resa conto di quanto vicino fosse il Natale. Vi siete mai chiesti quale sia la vita dei verificatori durante i giorni festivi?

Ci sono molti lavori, compreso il mio, in cui capita spesso di essere in turno nei giorni festivi. Mi è capitato varie volte di lavorare la domenica, così come – per esempio – il giorno di Pasquetta.

Osservando le assegnazioni dei miei turni di gennaio 2018 mi sono resa conto che lavorerò proprio il primo giorno dell’anno. Ho subito cercato di immaginarmi come sarebbe stato questa volta, perché due anni fa mi capitarono episodi molto particolari durante il mio turno nella giornata di Capodanno: avevo trascorso una tranquilla sera di San Silvestro con amici ed ero andata a dormire non troppo tardi. Il mattino dopo, salita in auto per recarmi al punto dove avrei atteso l’autobus per iniziare la verifica, mi sentivo come dentro ad un mondo post-apocalittico: in strada c’ero solo io e qualche passante. Alla fermata del bus, attendevo tranquilla quando due ragazzi sfrecciano davanti a me in bicicletta urlandomi festosi “Buon anno controllore!”. Ho sorriso e loro sono fuggiti via come due campioni al Giro D’Italia. Non ho nemmeno fatto in tempo a ricambiare.

Quando sono salita sull’autobus, i passeggeri si contavano sulle dita di una mano ma ognuno di loro mi ha salutato con l’augurio di un buon anno nuovo. Autista compreso. Due persone sul bus mi hanno addirittura detto di essere felici di poter usare i mezzi pubblici in un mattino così, dopo i trascorsi di una festa che – forse – aveva lasciato un po’ il segno. Ciò che mi ha reso più felice, in quel mattino di inizio anno, è stato percepire la cordialità e la voglia di augurare del bene. Dev’essere questa la magia delle feste. Ammetto, però, di aver provato felicità anche per un altro motivo: quel mattino non ho staccato nessuna multa. Tutti avevano iniziato l’anno con un buon proposito: pagare il biglietto dell’autobus!

Chissà come andrà il 1 Gennaio del 2018: nel dubbio, augurate buon anno al verificatore che – Se si tratta di una donna – chissà – probabilmente sarò io.

Mi è volato via il biglietto

“The answer, my friend, is blowin’ in the wind”: questa famosissima canzone di Bob Dylan mi è sempre piaciuta, la considero pura poesia (e non sono certo l’unica). L’altro giorno, però, mi è venuta in mente come associazione spontanea per qualcosa che è l’esatta antitesi dell’arte poetica. Oggi parliamo di scuse inventate dagli utenti per giustificare la mancanza di biglietto.

Sì, perché quando un controllore si sente rispondere: “Mi spiace, il biglietto l’avevo… ma mi è volato fuori dal finestrino…”, ecco, per la poesia non c’è più spazio e resta solo la mediocre quotidianità, dove trovi sempre un viaggiatore abusivo che tenta di farla franca ricorrendo alle scuse più bizzarre ed improbabili per non venire multato. L’episodio non è successo a me, né ad un verificatore di Holacheck: è capitato a Roma, a una collega che lavora per Cotral (l’azienda che gestisce il trasporto extraurbano nella provincia capitolina e nel resto del Lazio).

Lo ha raccontato lei stessa all’agenzia di stampa Dire, che ha seguito per un giorno una squadra di controllori documentando tutto con le telecamere. E’ stato realizzato in filmato molto interessante. Fermatevi per qualche minuto e guardatelo: vi troverete un campionario di giustificazioni inammissibili e di situazioni al limite del grottesco. Tutta roba abituale per noi verificatori, persino divertente, se vista da fuori. Ed è proprio vero che – dal Nord al Centro, al Sud – le circostanze in cui svolgiamo il nostro lavoro si assomigliano tutte, ma questa dei biglietti volanti ancora non l’avevo sentita. Chissà se la mia collega romana – mentre compilava la sacrosanta multa a chi si è inventato quell’assurda scusa – stava canticchiando qualcosa… oppure se pensava ad Aldo, Giovanni e Giacomo in questa scena davvero esilarante sulle scuse paradossali.

Forma e Sostanza: l’aspetto di un verificatore

Avete mai pensato a quanto – davvero – l’abito possa fare il monaco e a quanto come ci si pone conti sul posto di lavoro? E’ mattina presto, sono già vestita e pronta ad uscire di casa: il profumo del caffè aleggia ancora in cucina e tutto è pronto per un’altra intesa giornata di lavoro. Prendo la mia borsetta, ripasso mentalmente l’elenco delle cose che dovrò fare entro sera e appoggio la mano sulla maniglia della porta. Prima di aprirla, però, c’è un appuntamento al quale non posso rinunciare: quello con lo specchio, che sta proprio lì nell’ingresso. Non esco mai di casa senza aver controllato che nel mio aspetto sia tutto a posto, non solo per quel minimo di civetteria che abbiamo noi donne, ma soprattutto perché nel mio lavoro la forma esteriore è anche sostanza. La divisa deve essere pulita, il cartellino di riconoscimento in evidenza, i capelli in ordine, il trucco leggero e mai appariscente. Per i colleghi maschi, se la vogliono tenere, la barba deve essere ben curata. Questi elementi esteriori sono la prima regola del controllore, un biglietto da visita molto semplice da esibire ma sempre efficace.

Presentarsi sui mezzi pubblici con una mise inadeguata – o semplicemente disordinata – può rendere il mio lavoro molto più complicato. Il motivo è semplice: se non mostro interesse per il mio aspetto o per l’abbigliamento, trasmetto agli utenti il messaggio che non ho interesse per il mio ruolo. E’ come se dicessi: “Sì, le regole le conosco, ma oggi non mi va di seguirle e faccio a modo mio”. Prima ancora di aprir bocca avrei già perso l’autorevolezza, che è parte fondamentale della mia funzione.

E’ un meccanismo istintivo, che scatta in ognuno di noi senza che ce ne accorgiamo.  Un po’ come accade per i militari o gli appartenenti alle forze dell’ordine: la divisa e l’aspetto esteriore sono elementi identitari, sottolineano l’appartenenza del singolo ad un gruppo con regole e codici di comportamento ben definiti. Oltre ai vestiti, ai capelli, al trucco, ci sono anche altri aspetti da tenere presente, che in altre professioni non sono invece così importanti. Ad esempio, chi di noi fuma (pessima abitudine, peraltro, che sconsiglio a chiunque di acquisire) si guarda bene dal farlo durante il servizio. A bordo dei mezzi non se parla proprio, ovviamente (ed è comunque sempre vietato), ma nemmeno quando si è in fermata, in attesa che arrivi un bus sul quale salire per effettuare i controlli. E lo stesso vale per il cibo e le bevande: durante il servizio, con indosso la divisa, non si mangia né si beve. Siamo pur sempre pubblici ufficiali!

Ma non si pensi che siamo come dei soldatini inquadrati: abbiamo diritto anche noi, come tutti, ad una pausa durante il lavoro per prendere un caffè o fumare una sigaretta. Semplicemente, per farlo, dobbiamo prima metterci “in borghese”, togliendoci il cartellino di riconoscimento o sfilandoci il giubbino con il logo che ci identifica come operatori di un pubblico servizio. E’ questione di decoro, di dignità, di rispetto del nostro ruolo. Aver cura del proprio aspetto, insomma, è un metodo facile ma incisivo per rimarcare la propria professionalità.

Meno multe, più utili

Che il mio lavoro fosse importante ed utile l’ho sempre saputo, ma non immaginavo che fosse anche in grado di produrre utili. Voglio dire: oltre ad avere un’evidente utilità di tipo sociale (più controlli = più utenti regolari sui mezzi pubblici), ho scoperto che un’intensa attività di verifica a bordo di bus e treni porta anche notevoli benefici dal punto di vista economico. Tutte le aziende di trasporto pubblico per cui lavoriamo noi di Holacheck, infatti, stanno registrando ormai da diversi anni consistenti miglioramenti nei loro bilanci.

E’ un dato – dicono i nostri responsabili – che si riscontra in tutti i nostri clienti, e non è un fatto estemporaneo o passeggero ma una tendenza ben consolidata. “Il miglior effetto della nostra professionalità è la crescita dei nostri clienti. Le aziende che investono energie e risorse nel contrasto all’evasione sono quelle che mettono a segno i migliori risultati d’esercizio: è un indicatore infallibile”. Per dimostrarlo, hanno pubblicato sul nostro sito tutti i dati ed i numeri ufficiali.

In effetti, a pensarci bene, è una conseguenza logica: maggiori controlli stimolano una maggiore regolarità perché la presenza costante e visibile dei verificatori induce i passeggeri ad essere corretti. Quindi gli incassi delle aziende migliorano sia direttamente (le multe), sia indirettamente (più passeggeri paganti). Grazie ai nostri controlli, insomma, vengono recuperate risorse che vanno a migliorare i conti delle aziende. E se le aziende hanno più risorse disponibili possono anche fare investimenti per migliorare il servizio, renderlo più rispondente alle esigenze dei cittadini e far sì che sia davvero un valore per la collettività (anziché solo un costo, come purtroppo ancora credono in molti).

Per quanto riguarda le multe, poi, è stata davvero una piacevole sorpresa scoprire che in diverse realtà l’aumento dei passeggeri si accompagna ad un calo delle sanzioni. E’ quello che sta succedendo – ad esempio – in Emilia Romagna, dove sia Tper sia Seta stanno registrando questa tendenza. Ma anche per Tep e Start Romagna sta succedendo la stessa cosa, ed è davvero una gran bella notizia, perché significa che gli utenti onesti sono sempre di più e quelli irregolari sempre di meno. Ed è esattamente quello che anche io ho sempre desiderato: fare meno multe, ma che siano più utili.

Il mondo in un autobus

Molte delle persone che incontriamo noi controllori sui mezzi pubblici parlano una lingua diversa dall’italiano, appartengono ad etnie non originarie dell’Europa, professano una religione differente da quella della maggioranza di chi è nato in Italia. Del resto, è lo stesso anche una volta scesi dall’autobus, nella vita quotidiana delle nostre città (non solo di quelle più grandi): lo vediamo girando per strada, facendo la spesa nei centri commerciali, andando a prendere i figli all’uscita di scuola. Sono gli effetti del mondo globalizzato, dicono gli esperti, ed è bene – oltre che necessario – imparare a farci l’abitudine ed attrezzarsi, per quanto possibile.

Lingue diverse, razze diverse, religioni diverse, culture diverse: spesso, peraltro, tutte queste differenze convivono nella stessa persona, ed ecco che riuscire a fare il nostro lavoro può diventare complicato. Perché a volte basta una parola, uno sguardo, un gesto o il tono della voce per creare malintesi, equivoci, problemi.  Qualche esempio? In quasi tutti i paesi e le culture del mondo muovere la testa in su e in giù significa dire “sì”, mentre se la muoviamo da destra a sinistra e viceversa intendiamo dire “no”.

In India, invece, è esattamente il contrario. Ma è così anche in diverse zone balcaniche ed in gran parte della Turchia (attenzione: non in tutta la Turchia, tanto per aumentare la complessità). Ancora: unire pollice ed indice come a formare un anello e sollevare le altre dita della mano per noi significa “ok”. Nella cultura russa, invece, il significato è quello di una pesante offesa. Neanche il classico gesto del pollice alzato è esente da fraintendimenti: nella nostra cultura è un segno di valore positivo fin dai tempi degli antichi Romani (chiedere ai gladiatori del Colosseo per conferma…), ed è così anche nei paesi anglosassoni e nella cultura occidentale in genere. In Nigeria, invece, può causarvi molti guai dal momento che corrisponde al nostro gesto del dito medio.

Se oltre ai gesti del corpo – così cari a noi italiani – ci mettiamo anche i fraintendimenti linguistici ecco che la giornata-tipo di noi verificatori può diventare tutt’altro che semplice. Perché sui bus e sui treni è normale imbattersi in indiani, turchi, russi, nigeriani e mille altre nazionalità e culture: anche se agiamo in buona fede e cerchiamo di essere sempre cortesi e rispettosi degli utenti, basta un niente per trovarci nostro malgrado a dover gestire situazioni potenzialmente critiche.

La soluzione? Essere preparati, seguire un’accurata attività di formazione in cui apprendere a valutare efficacemente le diverse situazioni in cui ci troviamo ad operare, per riuscire a gestirle positivamente. Noi di Holacheck, ad esempio, prima di iniziare a lavorare siamo tenuti a seguire corsi specifici sulle tecniche di comunicazione verbale e non verbale, nonché a conoscere almeno una lingua straniera. E l’aggiornamento continua ad intervalli regolari durante il periodo lavorativo, perché come dice il proverbio “non si finisce mai di imparare”.

Attenzione: il nostro lavoro non consiste nel fare gli interpreti o i mediatori culturali. Noi facciamo i controlli su biglietti ed abbonamenti. Credo, però, che non sia possibile fare il controllore (almeno: farlo bene) se non si è disposti a fare ogni giorno qualcosa che possa migliorare l’approccio all’utenza. E’ un percorso di crescita personale continua, perchè ogni giorno sull’autobus sale il mondo intero. E noi dobbiamo saper affrontarlo al meglio.

Come tutto ebbe inizio

Oggi voglio raccontare come – e, soprattutto, perché – sono diventata una verificatrice di titoli di viaggio: è una piccola storia, che penso possa essere utile a tanti ragazzi che, come me, desiderano trovare un lavoro che dia soddisfazione nel farlo e la consapevolezza di essere utili alla comunità.

Una mattina di qualche anno fa, appena svegliata, me ne stavo nel mio bel pigiama a righe ed una tazza di caffè fumante in mano a leggere gli annunci di lavoro, sprofondata nel divano che occupa buona parte del mio monolocale. Durante la solita ricerca sui classici canali online (Monster, Infojobs, Subito.it, Indeed) fui incuriosita da quello della mia attuale azienda. Lo aprii e lessi attentamente il testo: “Addetto al controllo dei titoli di viaggio”. Lì per lì mi domandai quali potessero essere i requisiti per diventare un controllore, e rimasi sorpresa quando vidi che al centro di tutto c’era “la capacità di relazionarsi, la predisposizione ai rapporti umani, la capacità di mediazione e di saper gestire quello che si è da quello che è giusto”.

Il contatto con il pubblico, la capacità di mettersi in gioco e di lavorare in squadra: questi sono requisiti essenziali, pensai, che portano a una grande soddisfazione lavorativa. Un altro aspetto segnalato come importante era la conoscenza di almeno una lingua straniera, ed anche questo mi sembrava insolito, dovendo controllare biglietti ed abbonamenti su bus in Italia (ma poi, col tempo, ho scoperto che la mia conoscenza dell’inglese è davvero utile quotidianamente, ed è essenziale per un confronto costruttivo con gli utenti, che mi fa sentire realizzata). Essendo in possesso degli altri requisiti richiesti (diploma, automunita, conoscenza del territorio e la voglia di un lavoro all’aperto e a contatto con la gente), ho inviato il curriculum nella speranza di essere ricontattata.

Non mi aspettavo niente di particolare, le mie esperienze precedenti erano nella vendita diretta, nel settore immobiliare, qualche lavoretto stagionale nella Riviera Romagnola. Nel mio cv segnalai comunque anche i miei interessi personali: gioco a rugby, mi piacciono le poesie e adoro la musica.  Contrariamente alle mie aspettative, invece, nel giro di qualche giorno ricevetti una prima chiamata: “Buongiorno la contatto da Holacheck. Lei si è candidata per una posizione lavorativa come Addetto al controllo titoli di viaggio: posso farle qualche domanda? È ancora disponibile?” Fui davvero contenta! La persona al telefono mi chiese di parlare un pò di me e del mio curriculum. All’inizio pensai: “Ma se ti ho inviato il cv perché mi chiedi ancora del mio cv? Cos’è: non l’hai letto?”. Ma poi capì che raccontarsi a voce è molto meglio che descriversi su un foglio.

A questa prima chiamata seguì un invito via mail ad un colloquio di gruppo: per ogni chiarimento o informazione l’ufficio personale era a mia disposizione. Il colloquio di gruppo è stata un’altra esperienza insolita, ma positiva ed interessante: si percepiva, come è naturale, un pò di tensione da parte di tutti i candidati (eravamo in 6 persone). Qualcuno era più silenzioso, altri erano visibilmente agitati ed altri ancora sembravano a proprio agio, forse perché già abituati a questo genere di selezione. Io, inizialmente, ero un po’ ansiosa ma durante il colloquio mi rilassai constatando che dall’altra parte del tavolo vi erano persone competenti e preparate, che mi spiegarono bene cosa faceva e come era organizzata l’azienda.

Al termine del colloquio ci dissero che gli idonei sarebbero stati ricontattati successivamente, per iniziare una seconda fase di selezione. Dopo circa una settimana venni richiamata: ero tra i candidati selezionati, ed avrei dovuto sostenere un ulteriore colloquio conoscitivo. Anche questo secondo incontrò andò bene: ora potevo accedere alla formazione sul campo, consistente in alcune giornate di training assieme ai controllori in servizio operativo, abbinate ad un percorso di formazione teorica.

Lavorando accanto ai verificatori-formatori (che poi sono diventati i miei attuali colleghi) mi convincevo ogni giorno di più che stavo facendo la scelta giusta. Affiancavo persone serie e motivate, che mi supportavano in tutte le situazioni lavorative: il confronto con loro e l’osservazione diretta delle dinamiche del trasporto pubblico mi stimolava e mi rassicurava. Nel contempo, seguivo un percorso di formazione teorica, imparando tutto quello che c’è da sapere sul ruolo del controllore, sulla bigliettazione, sulle normative da seguire e su ogni aspetto tecnico del mio lavoro. Questa è una parte fondamentale, perché alla base del mio lavoro vi è il rapporto che si instaura con gli utenti, che devono poter fare affidamento sulle informazioni che diamo loro.

Dopo queste uscite sul campo e la formazione teorica sostenni il test finale (che emozione quel giorno!). Andò tutto bene, per fortuna, ed ottenni così l’idoneità a svolgere il compito di “Addetto al controllo dei titoli di viaggio”.
A quel punto mi proposero un contratto di lavoro: trovammo subito l’accordo, iniziai il mio nuovo impiego ed oggi – quasi cinque anni dopo – sono ancora qua. Il mio percorso lavorativo ha avuto una crescita costante, grazie al supporto ed all’affiancamento continui che ci garantisce Holacheck. Perché la priorità della mia azienda è garantire un elevato livello qualitativo del personale, fornendo un’accurata formazione iniziale, affiancamento e supporto costanti, organizzando corsi di aggiornamento. Insomma, ci sentiamo parte di una squadra che ha un compito importante, e tutti gli strumenti per portarlo avanti nel migliore dei modi.

Il labirinto delle tariffe

Mi spiace, questo biglietto non è valido per questa tratta: lei è in sanzione…”.

Si tratta di parole che a noi verificatori capita spesso di dover rivolgere a quegli utenti che, pur in possesso di un biglietto regolarmente convalidato, si trovano a percorrere una tratta che prevede una tariffa diversa da quella del loro titolo di viaggio. La maggior parte delle volte, infatti, l’utente non sa di viaggiare con un biglietto non sufficiente ed è comprensibile che si senta confuso ed irritato quando si vede consegnare una multa. Questa situazione incide negativamente sulla nostra attività di verifica, costringendoci a fermarci per spiegare ad una persona – che in quel momento è emotivamente indisposta – il complesso funzionamento del sistema delle tariffe.

Stiamo parlando, in sostanza del sistema di regole che fissano un prezzo specifico per ogni tratta servita, basandosi su una suddivisione del territorio in zone. Ad ogni zona corrisponde una quota, quindi più zone si attraversano e più il prezzo aumenta. E’ fondamentale che chi viaggia sui mezzi pubblici sia a conoscenza di questa impostazione, che non corrisponde necessariamente alla distanza chilometrica tra due punti. In pratica, per ogni tragitto che si deve percorrere si deve acquistare un biglietto corrispondente al numero di zone previste per quella tratta.

Concetti e regole che dovrebbero essere ben chiari agli utenti del trasporto pubblico – e che non siamo certo noi verificatori, né la nostra azienda ad aver stabilito – ma purtroppo spesso non è così. Vuoi per la difficoltà che alcune persone hanno nell’utilizzare certi canali informativi, vuoi per la complessità di certe regole e per la varietà dei titoli di viaggio disponibili, fatto sta che il risultato finale porta, non di rado, a dover multare chi, spesso inconsapevolmente, esibisce in buona fede un titolo di viaggio insufficiente. Tutto questo, inoltre, genera un incremento inconsapevole del tasso di evasione sui mezzi pubblici, almeno per coloro che – non incontrando i colleghi della verifica – sono di fatto liberi di evadere. Se hanno pagato meno del dovuto (ripeto: magari in buona fede) creano un danno all’azienda che fornisce il servizio di trasporto, quindi indirettamente a tutta la collettività.

Per il bene dei cittadini, di tutti coloro che viaggiano utilizzando i mezzi pubblici e delle stesse aziende dei trasporti, sarebbe opportuno arrivare ad una sostanziale semplificazione del sistema tariffario, ed instaurare una migliore comunicazione tra le aziende e gli utenti. La chiarezza delle tariffe rende più facile l’utilizzo del mezzo pubblico, incentivando coloro che non ne fanno uso ad avvicinarsi a questa forma di trasporto che fornisce un servizio importante alla comunità, dal punto di vista dell’impatto ambientale e del risparmio energetico.
Nel frattempo noi verificatori continuiamo il nostro lavoro, sempre più tecnologico e al passo coi tempi, cercando di far comprendere agli utenti tutti questi concetti un po’ complicati: così, magari, la prossima volta non si sbaglieranno nell’acquistare il biglietto, ed anche noi lavoreremo meglio.

Verificatori… di razza

A volte la vita del controllore si scontra con opinioni sbagliate oppure mal interpretate.
Ecco due frasi che  descrivono benissimo la reazione tipica di molte delle persone che multiamo.

Facile prendersela con noi italiani, vero? Tanto non possiamo sfuggire, invece a tutti quegli africani che girano sempre a sbafo sui bus non vi avvicinate mai…
Perché solo a me multa? Tu rassista, a italiano no dai mai multa…

Italiani o stranieri, insomma, sono tutti d’accordo: noi verificatori siamo dei razzisti, discriminiamo le persone in base alla nazionalità e le multiamo secondo criteri personali.  A seconda dei soggetti e delle convenienze, insomma, siamo descritti come sceriffi intransigenti o, al contrario, come persone lassiste e condiscendenti. Invece a noi non interessa proprio per niente quale sia la nazionalità, la razza, la fede religiosa o l’identità sessuale degli utenti: a noi interessa solo controllare che abbiano un titolo di viaggio valido e regolare.

Senza distinzioni, senza discrezionalità, senza classificazioni. L’unica differenza, per noi, è tra chi è in regola e chi non lo è. Bianchi, neri, gialli, uomini, donne, italiani o stranieri: non cambia nulla. Non c’è spazio per alcuna valutazione soggettiva: non ne abbiamo il tempo ma – soprattutto – non è questo il nostro compito. Noi non siamo psicologi, né assistenti sociali, né mediatori culturali: siamo solo dei verificatori e ci atteniamo al nostro compito.

Chiaramente, prendere una multa non piace a nessuno e a quel punto scattano scuse e giustificazioni di ogni tipo. Come accade in quella famosa scena recitata a dovere da Aldo, Giovanni e Giacomo. Ci sono anche delle situazioni che possono essere fonte di malintesi con gli altri utenti (quelli in regola), e che sono all’origine di alcune leggende metropolitane. A volte, ad esempio, capita che scendiamo alla fermata assieme all’utente che abbiamo scoperto essere senza biglietto, ma certo non lo facciamo per sottrarlo alle sue responsabilità o per “sistemare le cose” lontano da sguardi indiscreti. Semplicemente, proseguiamo anche a terra nella verifica e, se necessario, potremo compilare il verbale in maggiore tranquillità (ed anche a tutela della privacy del multato: non è carino avere gli occhi di decine di altri passeggeri addosso mentre si è colti a violare le regole…). Altre volte, invece, capita di chiedere il biglietto e vedere esibita una multa: non tutti, infatti, sanno che multa vale come titolo di corsa semplice entro il termine della sua validità oraria. In pratica, con la sanzione in mano si ha diritto a terminare la corsa. Quindi non possiamo fare una seconda multa a chi ne ha appena presa una, ma è comprensibile che gli altri passeggeri possano fraintendere questo comportamento e pensare che “stiamo chiudendo un occhio”.

E invece noi non “chiudiamo un occhio”, non “sistemiamo le cose”, non “lasciamo perdere, tanto è inutile”. Anche perché, a differenza degli utenti, il nostro nome-cognome e la nostra foto sono ben visibili sul cartellino di riconoscimento che portiamo sempre addosso, quindi ogni comportamento non regolamentare può essere facilmente segnalato alle aziende e portare ad un provvedimento a nostro carico. Non siamo né sceriffi, dunque, né avvocati difensori. La verità, come sempre, sta nel mezzo: siamo semplicemente uomini e donne che svolgono quotidianamente, con la maggiore correttezza e professionalità possibile, un compito molto importante per le aziende di trasporto pubblico e per la collettività, in condizioni di lavoro spesso non facili.

Siamo verificatori di razza, insomma, ma di quella buona.

Il verificatore è un pubblico ufficiale

Qualche giorno fa il nostro ufficio del personale mi ha convocato per informarmi su un’importante novità che riguarda il mio lavoro: “Vera, da oggi per la legge italiana anche voi verificatori siete considerati dei pubblici ufficiali”. “Finalmente una buona notizia” ho commentato soddisfatta. “Adesso potrò esigere dagli utenti l’esibizione di un documento di identità, anziché fare affidamento solo sulle mie doti diplomatiche e sulla loro disponibilità… E chi si azzarda ad insultarmi stia bene attento: l’oltraggio a pubblico ufficiale è punito con la reclusione fino a tre anni! Lo dice la legge!”.

D’ora in avanti, ho pensato, i “portoghesi” dall’offesa sempre pronta dovranno pensarci bene prima di alzare la cresta. E chi si rifiuterà di fornire le proprie generalità o – peggio ancora – avrà la brillante idea di darmi nome e cognome falsi dovrà fare i conti con il Codice Penale. Il pensiero del mio nuovo ruolo pubblico (per la precisione: pubblico ufficiale!) mi rendeva ancora più orgogliosa del lavoro che svolgo, e nella mia mente quelle due magiche parole evocavano l’immagine di una specie di scudo invisibile, un’arma immateriale ma potentissima grazie alla quale già mi vedevo mentre affrontavo l’attività quotidiana di verifica su autobus e treni come se fossi stata protetta ed invincibile. “Certo Vera, adesso quando sei in servizio puoi essere paragonata ad un poliziotto o un carabiniere – mi ha subito replicato il collega, riportandomi alla realtà – ma stai attenta: il tuo status giuridico non ti garantisce solo nuove tutele, ma impone anche nuove responsabilità”.

Oddio, nuove responsabilità? In che senso? “Nel senso che svolgi un ruolo pubblico, a beneficio di un servizio di pubblica utilità che comporta doveri ben precisi. Ad esempio, se non fai la multa ad un utente non in regola potresti essere denunciata per omissione di atti d’ufficio, reato previsto dal Codice Penale e punito con la reclusione fino a due anni. Lo dice la legge”. Improvvisamente, le parole pubblico ufficiale, Codice Penale e legge non mi sembravano più così confortanti. Ma poi, ripensandoci, mi sono ricordata che io ed i miei colleghi siamo abituati a far rispettare le regole, non ad infrangerle o a chiudere un occhio davanti alle scuse o alle giustificazioni più o meno fantasiose. “La legalità tutela gli onesti e chi opera correttamente – mi sono detta – quindi per noi verificatori e per gli utenti in regola questa novità è positiva. Lo dice la legge”.